L’Arma dei Titani

Un’immagine di Kronos, con insieme gli attributi di Saturno e del dio primigenio del tempo

Per un errore diffuso e ormai irrimediabile, si confonde sempre il dio Chronos (Χρόνος), la personificazione greca del tempo e dell’eternità, con il titano Kronos (Κρόνος), ovvero l’ultimo figlio di Urano e Gea.

Per restituire dignità al titano, racconteremo la storia originale di Kronos, dimenticandoci dell’innocuo e astratto Chronos, che nulla ha a che fare con queste vicende.

Kronos era uno dei Titani (“Signori”), ovvero di quegli dei adorati dalle popolazioni mediterranee e pelasge, prima dell’avvento degli elleni e dei loro dei olimpici (Zeus, Apollo e compagnia bella).

Kronos, che le popolazioni italiche conoscevano come Saturno, era il Signore non del tempo ma dell’agricoltura e dei campi e questo spiega perché il suo strumento fosse la falce.

Come Saturno, Kronos era anche il sovrano della mitica Età dell’Oro, in cui gli uomini vivevano senza affanni e “si onoravano la lealtà e la rettitudine”.

Questo saggio e onorato Titano era però “salito al potere” solo dopo aver tagliato con un colpo netto i genitali a suo padre Urano (“il Cielo”). Per l’occasione, era stata sua madre Gea, la “Terra”, a consegnargli l’arma con cui avrebbe dovuto “operare”. Infatti, all’inizio dei tempi, il Cielo era completamente unito alla Terra e si accoppiava con essa all’infinito, fecondandola in continuazione con la sua pioggia. Stanca di queste “piogge” interminabili, Gea chiese aiuto al suo ultimo figlio, Kronos, e gli mise in mano un’arma terribile, realizzata col ferro più duro estratto dalle sue viscere. Si trattava di una sorta di acciaio indistruttibile detto “adamantio”, capace di mutilare perfino un dio.

L’adamantio degli antichi: ferro celeste giunto sulla terra tramite meteoriti

E così, Kronos evìrò il proprio padre, le “piogge” finirono, la Terra si divise dal Cielo, iniziò l’Età dell’Oro e i Titani si sostituirono nel culto e nel mito agli dei primigeni.

Dove avvenne il fattaccio? Nonostante la tradizione voglia che il Titano sia sepolto nei sotterranei del messinese Monte Scuderi, Trapani contende la leggenda alla città dello Stretto, poiché entrambe derivano il proprio nome dalla forma del porto, a foggia di falce. Drepanon in greco e Zankle in Siculo significano infatti la stessa parola, il nome dell’arma inesorabile che taglia via le palle agli dei.

Un onore che Messinesi e Trapanesi, ovviamente, avocano con forza per la propria città.

Una immagine moderna della falce del porto di Messina – ben visibile ancora la forma falcata che ha dato il nome originario della città, Zankle, e l’ha fatta identificare con la falce della leggenda

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Mauro Longo
Mauro Longo
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