Quando Shakespeare parlava di minchia

Fin dal Settecento, dilettanti e studiosi portano avanti le tesi più disparate sull’identità di William Shakespeare, attribuendo i suoi lavori tra gli altri a Francis Bacon, Christopher Marlowe e perfino alla regina Elisabetta I. Oggi il gioco delle teorie campate in aria si moltiplica a dismisura (sono oltre sessanta le ipotesi sul “vero” Shakespeare) e raggiunge anche Calabria, Sicilia e la stessa Messina.

Per citare solo la versione messinese, Shakespeare sarebbe nato nella nostra città e si sarebbe chiamato Michelangelo Florio Crollallanza. Calvinista di origine ebraica, sarebbe sfuggito dalla Santa Inquisizione in Inghilterra, dove avrebbe tradotto il proprio cognome e assunto il nome William in onore della madre Guglielma.

Il ricordo della Messina della sua infanzia gli avrebbe poi dato l’ispirazione per una delle sue opere più note, proprio ambientata nella nostra città: Molto rumore per nulla.

Ecco un messinese d’eccezione: Michelangelo Florio Crollalanza de la Coronilla (y Azevedo)

Al gioco sui “misteri di Shakespeare” non si sottrae neanche lo scrittore Camilleri, che sfrutta la beffa fino a (ri)scrivere la versione “originale” in siciliano di quest’ultima opera, Troppo trafficu ppi nenti.

Pochi conoscono invece un certo uso di linguaggio e doppi sensi nella commedia in questione (quella vera, non quella di Camilleri).

Ecco alcuni coloriti esempi direttamente dalla traduzione ufficiale (brani sparsi, Atto IV, Scena 2):

Sanguinello: E bravo. Spostati! Minchia (…)

Sanguinello: Scriva, Don Giovanni figlio di puttana. Mizzica, questo è spergiuro (…)

Seconda Guardia: Per la Madosca, disse che aveva avuto mille ducati da Don Giovanni (…)

Sanguinello (Dogberry), un arrogante e ignorante buzzurro che fa la guardia cittadina: quindi un messinese doc

Un ultima nota riguarda il titolo stesso dell’opera. Secondo lo studioso Gordon Williams nel titolo originale Much Ado About Nothing è presente un doppio senso. Nello slang londinese del XVI secolo, infatti, “nothing” voleva anche dire “’n O thing” (una cosa a forma di “O”), con riferimento all’organo genitale femminile, su cui vertono le vicende amorose della commedia.

Voglio sorpassare lo stesso Camilleri e proporre una mia traduzione messinese del titolo, filologicamente più corretta: “Tuttu stù buddellu p’un mossu ‘i nicchiu!

Ecco l’arte tutta messinese del “Dolce Cigno di Avon”.

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Mauro Longo
Mauro Longo
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