Le ultime lettere di Jacopo Mortis – 3

Questo racconto partecipa all’iniziativa “Risorgimento di Tenebra” promossa dal gruppo Moon Base, la pagina facebook degli amanti della fantascienza e del fantastico.

Ecco l’elenco dei paragrafi usciti finora.

3

Armati che fummo e agghindati di tutto punto per l’impresa, balzammo dalla feluchetta sulla roccia ai piedi della rupe, dove il mugghiare delle onde riecheggiava del cupo rimbombo che proveniva dal fondo della spelonca. Solo Santino rimase sul battello ad attenderci, mentre Candeloro e il Principe Moncada si facevano innanzi, seguiti da presso da me e Ignazio, con il mio amico D. a chiudere la fila.

La bocca della caverna appariva ampia e larga ma corta, come le fauci di un qualche mostro di roccia. Un gran fetore ne promanava e vi erano scoli neri e lerci dalle pareti, un ammuffire di alghe in terra e diversi resti di pesce e legname gettati alla rinfusa in ogni dove.

Candeloro si appressò al fondo dello speco e smosse un cumulo di lerciume e fango che stava accumulato tra il suolo ricurvo e la parete. Sotto quelle scorie e quei detriti apparvero dei grossi sassi accatastati l’uno sull’altro, che insieme trascinammo via, liberando una sorta di botola di legno e una ingabbiatura di ferro rugginoso. Tirammo via anche quell’ultima copertura e, sotto di essa, ecco ci apparve uno stretto passaggio che discendeva nell’oscurità più fitta.

 

Un olezzo insopportabile di carogne, solfature e macellazioni emerse da quella gola di pietra, assieme a un lontano verseggiare di bassi latrati e gemiti raschianti.

Scolpiti nella roccia vi eran dei gradini incrostati, che discendemmo uno dietro l’altro con gran daffare di mani e piedi. Ringraziai in silenzio chi aveva provveduto a dotarmi di guanti e stivali e mi evitava dunque di calpestar quei guani e quelle immondizie di cui tutta la scaletta traboccava.

Raggiungemmo in quel modo un cupo budello, che pareva diramarsi attorno a noi in cento direzioni, verso anfratti che si perdevano oltre le luci malferme delle nostre lanterne. Echi di quei guaiti che già dissi riecheggiavano da più punti, assieme allo sciabordio di acque morte e a quello che potrei descrivere solo come lo strisciare lento di ventri molli e viscidi.

D’un tratto qualcosa si contorse in una pozzanghera a pochi passi da noi.

 

Scorsi una lunga escrescenza bianca muoversi d’intorno e staffilare l’aria e la pietra, spargendo schizzi e vibrazioni nell’acqua melmosa. Qualcosa di tozzo e goffo annaspava in quel rigurgito di melma, emettendo versi gorgoglianti.

I miei compagni si guardarono tra loro e brandirono ciascuno i propri ferri, ma tutti esitarono ad agire finché non fu il principe a parlare. Ed egli a me si rivolse, dicendo: “Siete pronto, signor Mortis? D’innanzi vi s’acquatta la vostra prima preda. Scaricatele addosso la pistola e assicuratevi che sia imbelle.”

Con mano tremante feci come mi disse. La pistola a vento sparò un colpo, con il rumore sordo che si dice facciano le cerbottane degli ottentotti, e il proiettile si infisse in quel corpo biancastro e ributtante. La coda frustò l’aria d’intorno con maggior foga, come impazzita, e la creatura sgusciò fuori dalla pozza, scivolando verso di me. Premetti il bottone dell’arma come mi era stato detto e sparai ancora su di essa, stavolta spargendone dei liquami d’intorno. Un altro colpo ancora e poi un altro e infine l’animale smise di arrancare e iniziò a fustigarsi con la propria escrescenza e a rotolarsi su se medesimo, non so se per il dolore che gli avevo provocato o per un qualche leso organo di locomozione.

Candeloro accanto a me aveva in mano un lungo ferro e con esso lo infilzò al suolo. Allora con il coltellaccio che mi era stato testé donato mi feci innanzi e provai a colpir la coda di quel prodigio infernale. Al terzo tentativo glie la mozzai ma ecco con mia gran sorpresa che essa continuò a fustigar d’intorno anche con maggior forza di prima, finendo altrove e disparendo nelle ombre, mentre il corpicino orribile si contorceva e vibrava e spandeva icore purulento davanti a noi.

 

È morto dunque?” chiesi.

No,” fu la risposta, “perché esso neanche prima era davvero vivo. Le due parti mozzate continueranno a fremere e agitarsi come due cose scisse e indipendenti, finché non troveranno le condizioni per riformar nuovi organi e riprendere da capo la propria insensata esistenza.”

Ricordo che il fetore di quel luogo e dell’icore di quel mostro riusciva a filtrare attraverso il fazzoletto che tenevo sul volto, provocandomi grande nausea e capogiri. “Cosa sono dunque questi Glauchi?” chiesi con un filo di voce. Candeloro alzò l’arpione e mi mostrò la bestia dal di sotto, avendo cura di tenerla lontana dal mio volto.

Il principe avvicinò la lanterna e insieme fissammo quell’obbrobrio. Esso appariva della forma e delle dimensioni del torso di un bambino di pochi anni e una sorta di costolatura cartilaginosa si intravedeva sotto la cute molle e traslucida. Dove vi sarebbe dovuto essere l’addome, tuttavia, la creatura aveva un’apertura simile a una bocca circolare, composta da villi mollicci che si protendevano in quel momento in ogni direzione, bramando il sentore di qualsiasi spostamento d’aria. Alcune escrescenze vestigiali ai lati di quel torso parevano formare delle zampe di infima grandezza, forse utili come organi di movimento assieme alla coda che avevo mozzato. Di fronte ai nostri occhi inorriditi, i villi della bocca cercarono di protendersi verso di quelle zampette chitinose, come per ingoiarle, mentre quelle allo stesso tempo si torcevano per allontanarsene, tentando di rifuggir, almeno loro, alla immonda pratica di divorar se stessi. Un bulbo liscio e calloso emerse di poi dalla parte frontale dell’obbrobrio, circondato da carnose ciglia simili a corna di lumaca. D’un tratto un orifizio invisibile si allargò e si schiuse e ne emerse un occhio rotondo, che mi guardò.

Un occhio catarattico, cisposo e molle, chiaro, forse ceruleo. Assolutamente umano.

Lanciai un grido e sussultai, ritraendomi di scatto, e credo che in quella occasione il mio cuore deve aver dimenticato un paio di battiti. Ignazio annuì e fece cenno a Candeloro di portar via il mostro. “Pare che essi siano chimere,” disse, “fusioni contorte e casuali di molti tratti animali, vegetali e umani. Non ve ne sono due uguali, se vi può rincuorare.”

La cosa non mi rincuorò affatto. Come una donnetta isterica e affannata mi volsi in un angolo e, sollevato il fazzoletto dalla bocca, vomitai dell’acqua, vuoto essendo lo stomaco di cibi.

Continua…
Mauro Longo
Mauro Longo
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4 commenti

  1. Bentornato al nostro Mortis, allora! Lo aspettavamo da tempo. 🙂 Devo dire che la descrizione del mostro è molto ben realizzata, bravo.

    Ora resto in attesa del quarto capitolo però. 😉

    Ciao,
    Gianluca

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