Questo racconto partecipa all’iniziativa “Risorgimento di Tenebra” promossa dal gruppo Moon Base, la pagina facebook degli amanti della fantascienza e del fantastico.
Ecco l’elenco dei paragrafi usciti finora.
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Udii il corpo di D. schiantarsi più volte sulla roccia, mentre ruzzolava dabbasso. Le sue grida si levarono per qualche istante durante la caduta, per poi interrompersi di colpo. Tutti levammo le voci e gememmo gran lamenti e io per primo mi lanciai indietro per tentare di soccorrerlo. Ma quando fui a metà delle scale la mano forte del Principe dietro di me mi strinse la spalla e mi trattenne, mentre la luce della sua lanterna mi mostrava il corpo del mio amico.
D. era oramai perduto, caduto sul fondo della caverna, disteso immobile sul fondo roccioso, mentre una pozza scura di sangue gli contornava la nuca, allargandosi ad ogni istante. Lo sguardo era fisso verso l’alto, come a guardarci, eppure spento.
L’informe ammasso dei Glauchi lo stava già assaltando e aveva preso a divorarne le gambe e l’addome. Uno di essi gli si lanciò alla bocca e vi disparve subito dentro, infilandosi con forza nella gola con feroci sferzate della coda a staffile.
“Non possiamo far nulla per lui,” mi gridò il Principe, mentre io ancora tentavo di discender le scale e portargli soccorso, “se non evitare che si rianimi come l’ennesimo di quegli obbrobri.”
Così dicendo mi porse la bottiglia di vetro contenente uno dei nostri oli deflagranti e mi fece cenno di impiegarla a dovere.
Gettai la fiasca contro il corpo esanime del nostro compagno e subito le fiamme e le schegge esplosero d’intorno, travolgendo l’orda delle abominazioni che arrancavano su di lui. Un fumo acre e denso si levò subito dal cadavere e finalmente mi decisi a tornar all’aria aperta.
Non appena fummo riemersi da quell’orrida spelonca, Candeloro camuffò nuovamente l’entrata all’antro di Scilla, sistemando le rocce nel modo in cui le avevamo trovate e sigillando l’apertura con un impasto di argilla bagnata.
Salimmo sulla nostra barca e ci allontanammo, sconvolti. Non riuscivo ancora a capacitarmi della perdita di uno dei miei amici più cari, lo stesso che mi aveva introdotto, mesi addietro, all’Accademia dei Riparatori. Anche i miei compagni rimasero a lungo silenziosi, mentre Ignazio recitava a bassa voce delle orazioni in suo nome.
Come sempre, fu il principe Moncada il primo a parlare e sciogliere la nostra contrizione.
“Amici miei,” diceva il nostro Gran Maestro, in piedi sulla feluca, “l’orrore ci soverchia, poiché abbiamo appena perso un caro amico; dirò di più: un diletto fratello della nostra consorteria. Dio solo sa se ci sono al mondo fratellanze di uomini più strette di quella che vede come membri noi Riparatori, che insieme ci ergiamo e combattiamo gli orrori dell’abisso. Poiché si dice che gli uomini diventino più solidali e vicini nelle difficoltà e nei pericoli, chi affronta dunque maggiori difficoltà e pericoli di noi? Il nostro fratello è caduto nella più sublime delle imprese, quella di riparare ai difetti orribili della natura e combattere affinché i mostri del Tartaro non prevalgano, né mai il genere umano li possa incontrare. Eppure, così come va tributato ogni onore a lui innanzi a Dio, temo che dovremo nascondere di fronte agli uomini le reali circostanze della sua morte. Sarà necessario accordarci su una versione dei fatti condivisa e soddisfacente per la famiglia. Nel frattempo, Signor Mortis, consideri concluso il suo apprendistato. Come il caro D. aveva saputo suggerire, lei si è distinto per fermezza e valore ed è adesso a tutti gli effetti uno di noi. ”
E così, per il resto della giornata ci mettemmo d’accordo per inventare la finta morte del nostro compagno. Per tutti, perfino i più stretti parenti, D. sarebbe caduto in mare e annegato nello stretto, trascinato via dai marosi durante una comune battuta di pesca. Non era inusuale che eventi del genere capitassero in quelle acque e invero accadeva spesso che i gorghi e le correnti trascinassero via gli annegati verso altre regioni, sottraendo perfino i cadaveri alla consolazione dei loro cari. Per il rispetto che porto alla sua memoria e ai suoi parenti ancora in vita, anche in queste ultime mie lettere non rivelerò il vero nome del mio perduto amico.
* * *
Non mi dilungherò ancora su questa mia drammatica iniziazione all’Accademia dei Pericolanti, né è tempo questo di raccontar gli altri straordinari eventi dei due anni successivi, quando mi trovai impegnato nelle più bizzarre delle situazioni: quando i morti risorsero nel villaggio di Faro e noi li sgominammo, combattendo casa per casa, o quando snidammo il negromante che si nascondeva presso la Villa dei Pantani e sradicammo il culto oscuro della Dea Nera che prosperava sotto la Chiesa della Vergine delle Grotte.
Questa e altre numerose avventure che potrei narrare impallidiscono infatti di fronte all’ultima nostra impresa, quella di cui finalmente mi accingo a scrivere in queste note.
Si era nel mezzo dell’estate, quando il Principe Moncada radunò tutti i membri dell’Accademia alla consueta sede e annunciò con voce solenne: “Maestri e Discepoli Riparatori, terribili son state le prove superate fino ad oggi e molte le nostre perdite, durante questa guerra segreta che combattiamo. È tempo ormai di sfidare l’estremo nemico e tentare di compiere lo scopo della stessa esistenza di questo nobilissimo consesso. Abbiamo ragione di credere che il Cancello del Mondo Sotterraneo si sia riaperto e che sia possibile accedere al centro della terra, ove ci troveremo di fronte all’Antico Nemico. È dunque l’ora di radunar le forze e la determinazione, perché entro pochi giorni dovremo raggiungere l’ingresso alle interiora della terra e discendere nel Tartaro.”
Ben capirete che, a tali parole, un silenzio gravido di timore si diffuse tra di noi tutti e ci tenne inchiodati ai seggi istoriati. Eppure, ognun di noi era pronto alla sfida e conosceva il valore dell’impresa. Nessuno esitò, nessuno lasciò, nessuno si rifiutò. Come sempre, il Gran Maestro chiamava e tutti i Riparatori diligentemente rispondevano assenso.
Sarebbe stata l’ultima nostra impresa.
Vedendo questi paragrafi con questo stile di numerazione, mi aspettavo in fondo una cosa del genere: “Se vai a destra, vai al 31, se preferisci la sinistra vai al 104.”
Bello, mi piace lo stile ottocentesco che usi, oltre alle illustrazioni, ricercate e molto “illuministicamente” da accademia settecentesca.
Graxie a entrambi. Sono riuscito a inserire in questo capitolo il disegno originale di uno dei “Glauchi”. In realtà è un Maiale di Mare, uno degli esseri viventi più orribili della natura…
Wow, questa ultima impresa si preannuncia molto interessante! 😀
Speriamo… Nel fine settimana posto il sesto capitolo…