Decameron dei Morti – l’intervista (a me) di Origami Edizioni

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Un’altra intervista all’autore del Decameron dei Morti e cioè a me! Questa volta si tratta di una “chiacchierata ufficiale”, dato che le domande vengono direttamente dalla Origami, la casa editrice che pubblica il Decameron.

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Decameron dei Morti: Intervista all’autore

Domande di Origami Edizioni

(Il grassetto è mio ed è usato con una certa autocelebrazione)

 

Scopriamo l’autore de Il Decameron dei Morti:

Com’è nata l’idea del Decameron dei Morti? Perché hai scelto di trarre spunto dal Decamerone di Boccaccio per una storia di zombie?

L’idea mi è venuta grazie a diversi libri di genere mashup, come Orgoglio, pregiudizio e zombi o Piccole Donne e Licantropi, cose così… Un tipo di parodia che apre la narrativa a nuove infinite varianti, a pensarci bene. Partendo da questo spunto ho vagliato la possibilità di rovinare trasformare qualche capolavoro della nostra gloriosa letteratura in una storia nuova, con elementi esterni di natura fantastica. Il Decameron di Boccaccio offriva un soggetto ideale per questo esperimento: una ambientazione medievale, in cui un Flagello misterioso dilaga per campagne e città, uccide milioni di persone e costringe le altre a vivere in una atmosfera da “fine dei giorni”. Cosa c’è di meglio per una storia di morti viventi (anzi di “Trapassati Redivivi”)?

Il Decameron dei Morti è un mix di letteratura e filmografia. Quali sono state le tue fonti di ispirazione?

Sicuramente lo stile scanzonato dei mashup che citavo prima, il Decameron originale e la sconfinata bibliografia/cinematografia dedicata ai nonmorti, che credo di conoscere discretamente. Alcuni esempi di storie di zombi nel passato sono descritte anche in Manuale per sopravvivere agli zombie di Max Brooks, libro peraltro eccellente. Gli zombi del Decameron dei Morti sono sia quelli lenti dei primi film, che quelli ipercinetici e rabbiosi di opere più recenti e ci sono in mezzo anche altre creature prese di peso da videogame e giochi di ruolo (Sine Requie, per esempio). L’ispirazione primaria è comunque quella delle descrizioni della Peste del Trecento, una catastrofe storica che ha poco da invidiare a una vera Apocalisse Zombi.

Hai incontrato difficoltà nella stesura del romanzo? Quanto è stato faticoso scrivere in uno stile simil trecentesco? E perché hai fatto questa scelta?

Molte difficoltà, molta fatica. La scelta di un linguaggio retro-anticato è stata la causa di molti problemi e rallentamenti che ho incontrato durante la scrittura. Nonostante abbia trovato un compromesso tra vero volgare trecentesco e linguaggio moderno, sono certo che un esperto linguista potrebbe individuare numerose incongruenze di fondo nella scelta di termini e frasi. Nonostante questo, non potevo rinunciare a invecchiare lo stile di scrittura, per creare questa sorta di patina anticata che ricopre l’intera vicenda. Si tratta di una scelta stilistica che ho voluto mettere alla base stessa della stesura, proprio perché si tratta di un’opera derivata e bisognava copiare onorare l’originale il più possibile.

A chi ti sei ispirato per i tuoi personaggi? Ce n’è uno in particolare che ti assomiglia? A quale figura ti senti più legato, e perché?

Per creare i personaggi sono partito dai dieci narratori del Decameron originale e ho provato a caratterizzarli per dare a ciascuno una funzione diversa: i due soldati di ventura, il cavaliere, il medico, il ladruncolo, il cacciatore, il monaco e così via. A partire dal loro “mestiere” sono poi andato avanti a donare loro una personalità, un retroscena, delle aspirazioni. Se dovessi scegliere il personaggio in cui mi ritrovo maggiormente indicherei Francesco Boccaccio, il trascrittore delle novelle narrate, fratello di Giovanni e figura storicamente reale. Anche se rimane un po’ fuori dal raggio della storia, anche lui fa parte delle Bande Grigie e milita al fianco di Messer Malatesta, in una posizione onorevole. È un po’ letterato e un po’ guerriero, scrive di notte e combatte di giorno. E inoltre rimane in vita abbastanza per concludere il suo libro, che non è poco… Mi sento molto affezionato a Fiammetta e Fosco, due tra i più giovani protagonisti della vicenda ed ammetto di avere avuto con loro un certo occhio di riguardo.

Qual è il punto di forza del Decameron dei Morti?

Spero che il suo valore oggettivo sia quello di una buona storia di avventura, combattimento, coraggio, sacrificio e amicizia, il tutto calato ovviamente in un generale contesto horror. Ma suscitare orrore o terrore non è il mio obiettivo principale. Preferisco invece raccontare di come gli uomini affrontano la fine del mondo, la disperazione, il dolore, il disgusto e la paura. Spero davvero di esserci riuscito!

Cosa pensi del genere horror nel contesto editoriale italiano?

Penso che abbia ottime potenzialità e molti ottimi autori, ma ovviamente questo non basta se case editrici e lettori non decidono di puntare sugli scrittori nazionali. Non mi dilungo sui problemi dell’editoria italiana o su qualità e quantità delle letture dei miei compatrioti. Quello che penso è però che un bravo autore/una brava casa editrice dovrebbero proporre testi che siano fortemente connotati come italiani (ambientazione, cultura, way of life), ma contemporaneamente spendibili all’estero.

Hai degli orari preferiti, o determinate situazioni che ti sono necessarie per immergerti nella scrittura?

Rendo molto bene di mattina e fino al medio pomeriggio, quando la mia concentrazione comincia a scemare e il mio cervello protesta per potersi dedicare a qualcos’altro. Ho bisogno di una stanza tutta per me, anche piccolissima, con la scrivania e il portatile, i libri e i quaderni. A queste condizioni posso anche scrivere per otto-dieci ore di seguito, senza nessuna stanchezza, fame o calo di attenzione.

Qual è in assoluto il tuo libro preferito o quello che vorresti aver scritto tu? Da quanto tempo ti dedichi alla scrittura?

Amo moltissimo la narrativa fantastica e i suoi autori, da quelli classici che più classici non si può fino ai contemporanei. Parlando di modelli assoluti, vorrei avere la cultura e la dedizione di Tolkien, la sensibilità di Le Guin, la genialità di Borges, la padronanza tecnica di King o Martin, l’immaginazione visionaria di Lord Dunsany, Ashton Smith o Lovecraft, lo stile diretto e cialtrone di Vance, Howard e Leiber. Sogni a parte, mi piacerebbe saper padroneggiare uno stile di linguaggio “anticato” come fa Alessandro Forlani, saper parlare delle tradizioni occulte italiane come fa Riccardo Coltri, saper combinare tecnica e immaginazione come Daniele Bonfanti. Scrivo praticamente da quando so leggere. Ricordo un bellissimo libro di leggende arturiane regalatomi quando ero davvero molto piccolo. Ispirato a quelle imprese illustrate, che mi facevano stare male per quanto erano belle, buttai giù la mia prima storia, che parlava di alcuni ragazzi grandi (12-14 anni) che esploravano un castello in rovina appartenuto a Uther Pendragon. Ricordo che la storia cominciava con “Era una notte buia e tempestosa” e che non riuscii ad andare oltre la prima paginetta. A parte questa e numerose altre esperienze negli anni, ho ricominciato a scrivere qualcosa seriamente intorno a 4-5 anni fa.

Oltre alla scrittura hai altre passioni?

Adoro i giochi di ruolo e, in maniera minore, videogame, boardgame e giochi di carte collezionabili; guardo moltissimi film e serie tv sempre “di genere”, adoro la birra scura irlandese e faccio una discreta vita da pub qui in Irlanda dove vivo. Non sono purtroppo un tipo sportivo, ma adoro le arti marziali e il trekking, che pratico quando posso.

 

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Mauro Longo
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