Virginia Strano e la Chiave di Re Salomone

Virginia Strano e la Chiave di Re Salomone è uno dei racconti vincitori del concorso Steampunk vs Dieselpunk di Scrittevolmente.
Ecco la seconda parte del racconto.

(…)

Il capitano del Mammafalsa indicò con un gesto del capo la carta del territorio sotto di loro, con le città principali evidenziate da segnalini circolari di corniola rossa. La rotta che avevano seguito era tracciata da spilloni dalla testa di celestina e passava ben lontano dalle fortezze e dai fari militari dell’Emiro. “Ci siamo, signorina Strano” disse solamente e infilzò l’ultimo spillone blu accanto al sigillo dorato posizionato in mezzo alla carta. La loro destinazione. Il Sepolcro di Alarico.

Virginia raggiunse il periscopio di chiglia, lo estrasse fino alla profondità massima e cercò di riconoscere ad occhio la catena montuosa che stavano sorvolando, a quasi un miglio di altezza. Valli scure, contrafforti ricoperti di boschi e picchi bassi ma scoscesi, illuminati dalla luna. Era la prima volta che sorvolava la terra dei Vatheq e non aveva punti di riferimento, ma confidava nell’esperienza di Cinnabar e nelle indicazioni della Mappa di Abulafia: Lì dove due picchi si stagliano e un aspro torrente, eccetera eccetera…

Ritirò il periscopio e chiese di nuovo il parere del capitano. “Siamo proprio sopra la valle che cercate” disse quegli “e stiamo per passare in mezzo alle due cime. Meglio di così non avrei saputo portarvici.”

Ben fatto, Capitano Cinnabar. Trovate un ricovero tranquillo dove nascondere l’aeronave e restate in attesa del nostro rientro.”

Si rivolse poi al suo gigantesco compagno. “Ebbene, Kadmos, la Mappa è alquanto esplicita da adesso in poi. Sul fondo della gola scorre un ruscello freddo e impetuoso. Dobbiamo trovare un punto dove atterrare con gli ornitotteri, risalire a piedi le rapide e trovare l’accesso al sepolcro. Potremmo esser di ritorno in poche ore e allontanarci prima dell’alba, evitando che gli aviogetti dell’Emiro ci comincino a ronzare attorno.”

Io sono pronto, Madamigella.”

Si vada dunque.”

 

Si diressero alle scialuppe volanti e montarono ciascuno sul proprio velivolo, caricandoci dentro l’equipaggiamento necessario. Virginia si fissò al collo il tricorno per non farselo strappare via e abbassò gli occhiali da volo dalla falda anteriore, per riparare gli occhi dal vento. I gemelli si assicurarono di staccare tutti i ganci e le cime e verificarono i piccoli bollitori ad oricalco. Per planare nella gola non ci sarebbe stato bisogno di accenderli, ma sarebbero stati indispensabili durante la risalita. Le sferette rosse erano al loro posto, con due unità di scorta per far fronte a qualsiasi inconveniente.

Al segnale convenuto, i gemelli disattivarono i fermi magnetici e gli ornitotteri si staccarono con un colpo secco dallo scafo del Mammafalsa, planando via a destra e sinistra della nave e subito accodandosi in discesa verso la gola.

Lo scafo dell’aeronave scomparve immediatamente oltre la coltre nebulare e i due avventurieri si lanciarono in picchiata, con le ali di paraseta gonfie al massimo e tutte le vele battenti che flappavano all’impazzata. Virginia si mise in testa e guidò la discesa verso la gola. Lasciò che il suo ornitottero perdesse quota velocemente, poi iniziò a rallentare a metà caduta, spostando la barra in modo da equilibrare impennaggi ed alettoni.

Veleggiò attraverso la stretta vallata finché non scorse una piccola radura, abbastanza grande da poter atterrare all’asciutto. Azionò gli sfarfallatori ed estrasse le zampe del velivolo, posandosi morbidamente sull’erba. Pannocchia non perse tempo: si fece largo fuori dal bavero del tabarro e si lanciò via volando verso il fiume, felice di ruzzolare una volta tanto su terreno solido.

La ragazza staccò le imbragature e scese dal velivolo. Si tolse il pesante tabarro da altitudine e rimase con la sottoveste a tre bandoliere, i pantaloni aderenti di pelle e il giustacuore lungo fino a mezza coscia. Fissò il fodero della spada sulla schiena, si attaccò alla vita la fusciacca con i borselli e le scarselle e controllò che tutti i suoi gingilli fossero a posto. Infine estrasse il telo mimetico e ricoprì l’ornitottero, per nasconderlo agli sguardi di eventuali viaggiatori che si arrischiassero per quelle gole.

La prima parte del racconto si trova QUI.
Continua…
Mauro Longo
Mauro Longo
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