Virginia Strano e la Chiave di Re Salomone è uno dei racconti vincitori del concorso Steampunk vs Dieselpunk di Scrittevolmente.
Ecco le altre parti del racconto: nell’ordine: 1, 2 3 e 4.
(…)
C’eri arrivato vicino, Abulafia rifletté Virginia. Bastava un po’ di coraggio in più.
Cristalli di rocca con venature di ametista rischiaravano l’ambiente di una perenne luminescenza. Nel mezzo della camera, su una predella rettangolare, era posizionato un sarcofago di pietra scolpito con le fattezze del re barbaro Alarico. Una piccola montagna di aurei, denari, sesterzi, casse di gemme, pendenti, diademi e statue di onice era accumulata ai piedi del sarcofago, occupava i cinque gradini della predella e proseguiva per metà del pavimento.
Anche la Menorah si trovava lì: un candelabro d’oro istoriato posto accanto alla testata della tomba. Stendardi e orifiamme con le insegne visigote erano disposti tutto intorno e sulla parete in fondo incombeva una gigantesca statua del sovrano defunto, costruita in oro massiccio e completa di elmo, spade e armatura.
Virginia non si fece distrarre dalla ricchezza sconfinata ammucchiata nella sala. Si sdraiò a terra e si sporse a guardare dall’alto i gradini che dalla balaustra discendevano fino alla camera sepolcrale. Sul piano orizzontale non c’era nulla, ma sul lato verticale del terzo scalino, invisibile a chi provenisse dalla balconata, erano incisi altri glifi goetici di proibizione.
Senza cambiare posizione, Virginia infilò un paio di guanti da scaramante, rossi e con il simbolo di Horus inciso a fuoco sui palmi, estrasse da un contenitore uno scalpello di piombo e un piccolo maglio e iniziò a colpire i simboli, dall’esterno verso l’interno. Ci mise almeno venti minuti, ma alla fine rese i glifi inefficaci. Nonostante fossero di un metallo inerte alla stregoneria, lo scalpello si era crepato per la lunghezza e il metallo del martello sembrava fuso, colato sul manico e poi rappreso nuovamente.
Li gettò via.
Discesero le scale che dalla balconata portavano alla sala, muovendosi con estrema attenzione per evitare ulteriori sorprese. Virginia si avvicinò alla parete circolare della camera e sfiorò con le dita il bassorilievo che correva lungo tutto il perimetro. L’epopea del sovrano defunto, dalla nascita alla morte.
Millecinquecento anni prima, Alarico I Re dei Visigoti aveva saccheggiato Roma e aveva svuotato in tre giorni la città eterna da ogni suo tesoro, portandolo con sé verso il nuovo regno di cui gli stregoni al suo seguito avevano vaticinato. Ma durante il viaggio verso meridione egli era rimasto ucciso e, per onorarlo, i generali e gli stregoni avevano costruito quel sepolcro e lo avevano inumato lì dentro con i suoi tesori.
Virginia salì la predella misurando ogni passo, mentre Kadmos si guardava attorno, abbagliato dal mucchio d’oro e gemme preziose. Con quel bottino sconfinato avrebbero potuto riempire il laboratorio di suo zio di qualsiasi congegno a vapore o a petrolio fosse mai stato inventato. O comprarsi un regno. O ritirarsi per sempre su Antilia o alle Isole Beate.
O fare tutte le tre cose assieme.
Ma Virginia non aveva occhi che per la Menorah. Per molti era solamente un artefatto mistico di incredibile potere, ma lei conosceva anche il suo segreto più nascosto. Il candelabro d’oro del Tempio di Gerusalemme era anche la vera Chiave di Re Salomone, il dispositivo che avrebbe aperto il portale del Regno Segreto della Regina di Saba, penultimo passo nella missione che la sua famiglia portava avanti da tre secoli, alla ricerca di Atlantide.
Stava quasi per poggiare il piede sul gradone più alto della predella. Fermò la gamba a mezz’aria.
Trappola!
Una intercapedine sottile come un capello correva tutto attorno allo scalino superiore. Se avesse fatto un altro passo o toccato il sarcofago sarebbe caduta vittima dell’ultima insidia che i generali di Alarico avevano ordito contro i profanatori della tomba. Un meccanismo a pressione che avrebbe attivato chissà cosa…
Ci vorrà solo un po’ di tempo, pensò Virginia, prendendo da una scarsella una serie di cunei di piombo. Solo qualche…
Pannocchia uscì dalla tasca, le si arrampicò sulla spalla e si sporse con il muso in avanti, verso l’ingresso della camera. Squittì qualcosa spaventato e poi corse di nuovo a nascondersi tra le federe del giustacuore. Kadmos si voltò di scatto verso la stessa direzione, fiutando qualcosa nell’aria.
“Rhesus!” ringhiò, snudando le zanne.
In un’esplosione di urla belluine, una dozzina di simiani balzò dentro la stanza, correndo e saltando a quattro mani tutto intorno. Erano più piccoli e irsuti di Kadmos e i loro tratti animaleschi molto più marcati: un feroce branco di scimmie umanoidi assassine, coperte di aderenti vesti di cuoio e dalle zanne roride di bava.
Dietro di loro, con il passo lento e studiato di un teatrante da operetta, apparve un uomo dai lunghi capelli neri, abbigliato con una zimarra dello stesso colore.