Ombre di Dagon (III)

E dopo molto tempo… l’epilogo

Mar Rosso, spazio aereo a sud di Jedda, anno 2012, 2305 Zulu

“Sergente…”

Maggie lo guardò esasperata.

“Salvo, per favore…”

Quello allargò la bocca in un sorriso a trentadue denti, e proseguì senza dare la minima attenzione alle sue parole.

“…ma da questa merda di squadra, come se ne esce?”, e giù con una risata.

Mike e Giusi, quei due idioti, gli andarono subito dietro, ridendo in risposta e battendosi il cinque.

“…quando avrai finito di rubare battute a vecchi film”, sospirò, “almeno fai qualcosa di utile.”

“Tipo cosa, sergente?”, chiese quel coglione, inserendo con uno schiocco il caricatore nell’H&K416.

“Tipo ripassare il piano”, rispose seccamente Maggie, spostandosi lungo il piccolo spazio tra le due file di panchine.

Il rumore dei rotori del vecchio aereo era quasi assordante, e lei alzò la voce per farsi sentire da tutti.

“Cosa che non farebbe male a nessuno”, ribadì.

I rumori cancellarono i borbottii degli altri della squadra.

“Cominciamo”, disse, appoggiandosi ai corrimani sul soffitto. “Abbiamo ancora mezz’ora prima del lancio.”

“Io e Salvo ci lanciamo per primi”, disse seccamente Busacca. “Mettiamo in sicurezza il perimetro e aspettiamo gli altri con le armi pesanti.”

“Ammesso che ci facciano arrivare vivi a terra”, rise Salvo.

“Vaffanculo, Piras”, gli rispose l’altro, mostrandogli il pugno chiuso nel guanto ignifugo, col medio alzato.

“Piantatela, Cristo santo”, sbottò Maggie. “Non andiamo a fare irruzione in una tana di Al-Qaida”, scrollò la testa. “Questi sono animali pericolosi, anche solo a guardarli.”

Salvo si rabbuiò in volto.

Malgrado le battute, con la sua esperienza di due anni da incursore del Col Moschin prima in Somalia e poi in Afghanistan, era forse l’unico a rendersi davvero conto di quello che li attendeva.

Forse, pensò lei, era per questo che non smetteva un momento di fare battute stupide.

“Piuttosto”, intervenne Giusi, “siamo sicuri di trovarli in quello sputo di terra?”

La piccola aveva comunque un cervello che funzionava. A vederla, coi suoi occhi grigi e le lentiggini da adolescente, non le avresti dato due centesimi. Ma con la Digos di Palermo aveva già al suo attivo almeno due missioni sotto copertura.

“I documenti della Fondazione dicono questo”, le rispose Maggie, tirando fuori dalla sacca un vecchio quaderno verdastro. “E finora non hanno mai sbagliato.”

“Altrimenti il Ministero non avrebbe mai autorizzato la missione, no?”, ammiccò la piccolina, lasciandosi scappare un po’ del suo accento veneto.

Maggie fece una smorfia. “Il Ministero non c’entra”, borbottò.

“Formalmente”, disse rapidamente, “è una missione congiunta della Presidenza del Consiglio e”, fece una pausa imbarazzata, “del Vaticano.”

“Oh Gesù”, fece Mike, dandosi una manata sulla fronte. Era l’unico che non aveva dovuto spalmarsi il nerofumo sulla faccia, vista la sua carnagione già caffelatte.

“Niente bestemmie”, rise Busacca.

“Siamo in missione per conto di Dio”, esclamò Piras.

“Serbatoi di napalm pieni e abbiamo tutti gli…”, iniziò Giusi.

“Se provi a finire la battuta”, ruggì la sergente, “ti lanci senza il paracadute, Visentin!”

Lei alzò le mani in segno di resa, ma saggiamente decise di non replicare.

“Bene”, continuò Maggie.

“Appena tutti a terra, entriamo nella grotta dal lato della spiaggia.”

“Niente granate, però”, disse Busacca con una smorfia.

“No”, confermò lei. “Troppo pericolo di crolli improvvisi, e non vogliamo fare la fine di d’Oncieu.”

“Quindi andiamo giù di lanciafiamme”, fece Salvo, dando una pacca alla cassa blindata, pronta allo sgancio.

“Esatto”, assentì lei.

“E bruciate ogni cosa si muova”, sottolineò. “Non c’è bisogno di distinguere i buoni dai cattivi.”

“Grigliata di pesce per tutti!”, rise di nuovo Piras.

“Meglio così”, disse asciutto Mike. “Si risparmia tempo.”

“Ma, sergente”, iniziò esitante Giusi.

“Che c’è, Visentin?”

“Se i documenti sono corretti…”

“Lo sono”, disse seccamente Maggie, portando il quadernetto al petto e tenendovi una mano sopra. “Te lo posso giurare.”

“Beh”, sussurrò quella, “in pratica quindi quelli che andiamo a friggere sono nostri mezzi parenti.”

Mike le diede uno scappellotto deciso sulla nuca, facendole quasi cadere il visore notturno.

“Ma non dire cazzate”, esclamò. “Quelle cose sono parenti dell’umanità come lo sono le tarantole del Guatemala!”

Maggie annuì con forza.

“Esattamente”, disse seccamente.

“Non fatevi venire pensieri balordi”, insistette. “Quelle sono bestie, andiamo giù per ammazzarle una per una, se necessario. E le dobbiamo fare fuori tutte. Se finiamo il napalm usiamo i fucili. Se finiamo le munizioni usiamo i coltelli. Se si spezzano i coltelli gli strappiamo la gola a morsi. Punto.”

“Ok, ok, era solo per chiedere”, borbottò Giusi. “Mica mi facevo dei problemi…”

“Dieci minuti al punto”, intervenne il pilota dalla cabina.

La squadra fece in silenzio gli ultimi controlli ad armi e paracadute, mentre Maggie si metteva in fondo alla coda di lancio.

Diede un’ultima occhiata al quaderno verde, quello che aveva indirizzato la sua vita dalla prima volta in cui lo aveva letto, fino a quel momento.

Gli appunti precisi e puntuali della sua antenata che quasi un secolo prima si era scontrata con la Verità.

Ed ora era finalmente arrivato il momento della vendetta. Quei mostri nel profondo, il bestiale clan Al-Wihar e i suoi riti blasfemi sarebbero finiti bruciando nel fuoco.

Quella notte.

“Grazie”, sussurro posando le labbra sul quadernetto lacero, prima di riporlo con cura nella sacca.

“Grazie, Virginia.”

Mario Pesce
Mario Pesce

Appassionato da sempre di fantascienza, fantasy e scrittura in generale, una non breve esperienza nell'associazionismo, gli piace mischiare soggetti e piani… soprattutto quando non si sa in anticipo che ne possa venire fuori.

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